La ricerca scientifica italiana ai tempi del COVID-19

Le vicende susseguitesi a causa della pandemia dovuta al SARS-CoV-2 hanno lasciato una profonda ferita sulla nostra società e, inevitabilmente, sul nostro modo di pensare ed agire.

È nei momenti di grande difficoltà, nei quali la paura tende a prendere il sopravvento, che il valore della cultura riesce, emergendo con veemenza, a divenire un punto di riferimento per la società. 

Questa è la storia di una realtà che in Italia è presente da sempre, importante da valorizzare per ciò che effettivamente vale: si tratta del mondo della ricerca scientifica. 

Esso è costituito da un enorme motore sinergico costruito sulle spalle di studiosi, quali biologi, biotecnologi e (bio)chimici, che, con dedizione, passione e costanza collaborano fianco a fianco permettendo l’avanzamento conoscitivo e tecnologico nei suoi più svariati settori. 

Dalla situazione odierna è necessario capire un importante dato di fatto: la ricerca scientifica rappresenta lo strumento per eccellenza per debellare l’ignoto – (ieri si chiamava HIV, oggi Coronavirus, e poi?) -. Una risorsa cara e preziosa dalla quale oggi più che mai è necessario attingere. 

Hanno fatto scalpore le notizie sulla ricercatrice Francesca Colavita, la prima ad isolare il ceppo virale all’Ospedale Spallanzani di Roma; al suo esempio si sono susseguiti quelli delle loro colleghe Claudia Balotta, Alessia Lai e Arianna Gabrieli dell’Ospedale Sacco di Milano e di molti altri istituti sul nostro territorio nazionale. Con il loro importante lavoro di ricerca non sono però le uniche figure scientifiche a farsi promotrici di un settore che può vantare numerose personalità di spicco. 

Al Centro di Ricerca IRBM di Pomezia, alle porte di Roma, lavorano 250 scienziati per la realizzazione di un vaccino anti SARS-CoV-2 in partnership con l’istituto Jenner dell’Università di Oxford. Lo stesso team che nel 2014 lavorò al primo vaccino anti-Ebola.

Infatti, da sempre il nostro Paese è ritenuto la culla del progresso scientifico ed anche oggi, lontano dai riflettori dell’interesse mediatico, operano congiuntamente gruppi di ricercatori di calibro assoluto. 

Ne è un chiaro esempio il gruppo del Professor Michele De Luca, Direttore del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” (CMR) dell’Ateneo di Modena e Reggio, che ha condotto uno studio pioneristico, consentendo la realizzazione della prima terapia basata su cellule staminali al mondo. Il risultato di questo studio ha portato, nel 2015, alla produzione ed approvazione da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) del primo farmaco basato su terapia cellulare che ha permesso di restituire la vista a pazienti con gravi ustioni della cornea. 

Ulteriori applicazioni di terapia cellulare sono state impiegate per il trapianto di cellule staminali epidermiche ai fini della rigenerazione della pelle nell’epidermolisi bollosa giunzionale, una rara e molto invalidante patologia che lede il tessuto cutaneo.
La terapia cellulare e la rigenerazione tissutale che ne deriva, permettono ai pazienti la guarigione totale ed un ritorno ad una normale vita sociale. 

Un’altra dimostrazione della qualità che contraddistingue la ricerca scientifica italiana è ben sintetizzata dalla fondazione Telethon che, in collaborazione con l’Ospedale San Raffaele di Milano, rappresenta uno dei centri di ricerca più avanzati d’Europa in materia di terapia genica. 

Attualmente, la terapia genica è utilizzata per il trattamento di ADA-SCID, una rara sindrome che colpisce prevalentemente in età pediatrica e che compromette il sistema immunitario in maniera tale da costringere i bambini che ne sono affetti a vivere in isolamento. 

Tale terapia, consistente nel trapianto di cellule staminali “corrette” per difetti genetici e reinfuse nei pazienti, si è confermata sicura ed efficace al punto che, dal 2016, è stata resa disponibile sul mercato. 

Ma non è tutto: il Centro di Risonanze Magnetiche (CERM) dell’Università degli Studi di Firenze si distingue per essere l’unico al mondo in possesso del più potente strumento per la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR). Mediante quest’ultimo è possibile studiare fluidi biologici al fine di rilevarne i metaboliti in essi contenuti. Le applicazioni principali, concernenti l’ambito biomedico, rendono possibile il monitoraggio dell’azione che un farmaco esercita su un paziente nel tempo e consentono di discriminare tra coloro che potranno beneficiare di uno specifico trattamento: tale aspetto è particolarmente vantaggioso per soggetti di tipo oncologico, i quali sono sottoposti a trattamenti fortemente invalidanti. 

In un futuro molto prossimo, questa tecnologia permetterà ai ricercatori di sancire il passaggio da una medicina reattiva ad una medicina preventiva e sempre più paziente-specifica. 

Tale riflessione, ci porta a sottolineare come risulti di primaria importanza la riscoperta della magnificenza insita nella ricerca scientifica, la quale, oltre ad essere il propulsore della forza culturale che crea, non è seconda ad altre bellezze di cui l’Italia è fregiata.

L’avanzamento intellettuale passa dovutamente attraverso un miglioramento tecnologico, bene di prima necessità che incarna la linfa del progresso, prerogativa della nostra Italia. 

Perché siamo un’eccellenza? Perché questi risultati incredibili l’Italia li ottiene nonostante la spesa pubblica per la ricerca sia stata tagliata del 21% in dieci anni, dal 2007 al 2016; a questo taglio dal 2008 al 2014 si è susseguito quello del 14% alle Università statali, per un totale di circa 2 miliardi di euro.

Si ringraziano gli autori Giulio Magherini e Gabriel Innocenti


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